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Автор Питер Акройд

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PETER ACKROYD

Charles Dickens

Una biografia

traduzione di Luca Briasco e Simona Fefè

Titolo originale:

Dickens

© Peter Ackroyd 1990

© 2019 Neri Pozza Editore, Vicenza

ISBN 978-88-545-2009-7

Ancora più nel profondo, se si ha lo sguardo abbastanza penetrante, elementi tenebrosi, fatali, silenziosi, tragici da contemplare, nascosti in un abbagliante fulgore solare, gli elementi stessi della morte.

Thomas Carlyle su Charles Dickens

Ricorda che ciò che ti vien detto ha sempre un triplice aspetto: riceve una certa forma da chi racconta, è rimodellato da chi ascolta ed è occultato a entrambi dal morto di cui si narra la storia.

Vladimir Nabokov, La vera vita di Sebastian Knight

Arrivato a questo punto della sua requisitoria, Ippolit Kirillovič, che evidentemente aveva scelto il metodo d’esposizione rigorosamente storico, al quale ricorrono molto volentieri tutti gli oratori nervosi, cercando apposta degli schemi rigorosamente delimitati per contenere la propria foga ...

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov

Prologo

Charles Dickens era morto. Giaceva su un angusto divano verde – più che sufficiente per lui, ormai sparuto – nella sala da pranzo di Gad’s Hill Place. Era morto nella casa che aveva visto per la prima volta da bambino e che il padre gli aveva indicato come obiettivo all’altezza delle sue ambizioni; il padre aveva avuto una tale influenza sulla sua vita che quarant’anni più tardi Dickens aveva comprato quella casa. Ed ecco che se n’era andato. Era consuetudine chiudere gli scuri e le tende, avvolgendo il corpo nelle tenebre prima dell’ultimo viaggio verso la tomba; ma nella sala da pranzo di Gad’s Hill Place le tende vennero scostate e, in quel giorno di giugno, lo splendido sole si riversò nella stanza, scintillando sui grandi specchi che adornavano le pareti. I familiari sapevano quanto Dickens amasse la luce, quanto ne avesse bisogno, e sapevano che non era mai stato sfiorato dalla convenzionale sobrietà del periodo tardo-vittoriano: era il 1870.

Le rughe e i solchi tracciati dallo scorrere della vita erano stati cancellati dall’immobilità della morte.

Non era anziano – aveva cinquantotto anni – ma su un viso tanto segnato e stanco l’invecchiamento era stato precoce. Si diceva che avesse acquisito una sorta di aria sarcastica. Ma ormai non ne rimaneva traccia, e sua figlia Kate, che vegliava la salma, notò come ancora una volta su quel viso fossero affiorati «bellezza e pathos». Era la sembianza «da tempo dimenticata» che Dickens aveva descritto senza posa nei suoi romanzi. L’aveva scorta in Oliver Twist, nel volto esanime che torna alla «sembianza da tempo dimenticata della fanciullezza dormiente», e nello stesso romanzo aveva associato «il volto rigido del cadavere e il sonno placido del bambino». Anche nella morte di mastro Humphrey c’era un che di «strano e indistintamente affine alla giovinezza». Era la sembianza che aveva registrato sul viso di William Dorrit morto; la sembianza che aveva visto sulle facce dei cadaveri esposti alla Morgue di Parigi. Dickens era stato costantemente tormentato dal legame tra la morte e l’infanzia: “sonno”, “riposo”, “morte”, “infanzia”, “innocenza” e “oblio” sono alcune delle parole che per lui formavano un cerchio e lo riconducevano al punto di partenza. Lì, a Gad’s Hill, nei pressi della città in cui aveva vissuto da bambino, nella casa che suo padre un tempo gli aveva mostrato: lì, il cerchio si chiuse per sempre.